damegiàna > ‘ndamegianà’ – togliere il vino dalla botte per metterlo nelle damigiane; francese dame-jeanne: Giovanna I^ d’Angiò, regina di Napoli (XIV secolo) incontrò un vetraio che realizzò per lei una grossa bottiglia, che l’artigiano voleva chiamare reine Jeanne; fu la stessa sovrana a suggerire il più modesto dame-jeanne.
débbetu – debito; nella fraseologia: a ffa’ débbetu e nun pagàllu edè cume de nun a(v)éllu = non pagare un debito è come non averlo; ogne ‘mpumésta è débbetu = la promessa va mantenuta.
de(v)uzió’ – devozione/i.; era pure il sacchetto con medaglie e santini che i bambini portavano al collo; nel significato di portafortuna va ricordato che, oltre le medagliette e i santini, il sacchetto posto al collo dei bambini conteneva sovente anche l’erba della Madonna, che proteggeva dal malocchio.
di’ – dire; fraseologia: el di’ nun còsta gnè’ = parlare non costa nulla; dìlla tónna = parla chiaro, dilla tutta (come sta la faccenda); da’ da di’ a calchidù’ = dar fastidio a qualcuno; mìga lu dìghi a un zórdu! = so benissimo di che cosa parli.; nun (av)ému dìttu gnè’ = magari a chiusura di qualche conferenza di pettegolezzi tra donne (e pure uomini, perché no?); ce dìce = ci sta bene (con il discorso che si sta facendo oppure la cravatta con il vestito etc…), si adatta; massè’, ce dìce ‘sa ròbba adè? = adesso che cosa ci entra questo?
dià(v)ulu – diavolo; fraseologia (piuttosto comune): è un dià(v)ulu, per dire che è molto bravo in una certa cosa, che è inarrestabile (p. e. come calciatore, ciclista etc…); ci ha el dià(v)ulu addòssu = è sempre agitato come un indemoniato; el dià(v)ulu ce métte la códa = per mandare a male le buone cose; fa’ el dià(v)ulu a qquàttru = fare una gran cagnara, provocare un’accesa discussione, urlare; rémpe el becchièru se no me ce pìscia el dià(v)ulu = riempimi il bicchiere se no …; per farsi versare altro vino.
dindaròlu – sostantivo maschile, salvadanaio, dalla voce onomatopeica dindì’, soldi.
dinghillò’ – perditempo, scioperato, anche lento nel fare le cose; vedi veneziano bacchillone, uomo sciocco, sempliciotto; confronta anche con il toscano gingillóne; il senese dispone di ghinghellàre, ghinghellìo = dondolare, dondolio e anche di ghinghillozzo, altalena, che può indicare chi si gingilla, si dondola di qua e di là perdendo tempo.
duèllu – sostantivo maschile, duello: el duèllu de (V)alentini = il duello di Attilio Valentini, giornalista portorecanatese, morto in Argentina, appunto in duello, nel 1893; lat. duo+bèllum.
spigoli
débbetu
Uno dei tabù della vecchia società portorecanatese. “Fa’ débbetu” voleva dire automaticamente mettersi nei guai, procurarsi preoccupazioni, scivolare piano piano, con moto inesorabile, lungo la china dell’affanno quotidiano e della perdita della tranquillità. Eppure quasi mai si riusciva a evitarlo, nelle famiglie di operai, pescatori, artigiani e contadini, ma anche di commercianti. Il “débbetu” più trangugiabile era quello della spesa quotidiana. Quante volte sono andato nella bottega di alimentari “La Garibaldina” di Santì Ascani a comprare il pane o la pasta uscendo poi col dirgli, come tutti, “ha dìttu màmma che segni; po’ passerà lia a ppagà’”.
E Santì segnava, in un quaderno dalla copertina nera, a quadretti, dove ogni mezza pagina era dedicata a un cliente; lui sapeva quel che si penava a vivere, aveva fatto l’operaio, l’avevano cacciato dal posto di lavoro perché era un “sovversivo” (pensate un po’: rivendicava di che vivere e un orario di lavoro decente!). I “débbeti” che mettevano paura erano altri. Per la casa, per esempio. O per l’acquisto del motopeschereccio, ma anche di una lancettina. O per mettere su bottega di falegname. Lungo, l’elenco.
Dove si prendevano i soldi? Il ricorso alle banche è un uso, diciamo così, tardo; c’erano quelli che ne chiedevano i servizi, ma si contavano in pochi; i più cercavano quattrini tra i parenti, presso qualche famiglia importante (si dice che i Volpini abbiano finanziato parecchi acquisti di natanti) e c’era pure chi finiva da qualche usuraio/a. Costoro non sono mai mancati nemmeno al Porto e, more solito, si trattava spesso di gente arricchitasi con qualche commercio e qualche ruberia di cui chiedevano diuturno perdono al Signore, con straordinaria puntualità alla messa e ai sacramenti della confessione e comunione. Devo ammettere che anche oggi, quando mi si prospetta un acquisto importante, da soddisfare con convenienti rate, fitte però, e che non finiscono mai, non vado a buttare il cappello nell’impresa.
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