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Bruxelles, lo spettacolo della paura e il kamikaze in fuga: “Chi l’ha visto?”.

Fotomontaggio Matteo Salvini

Fotomontaggio Matteo Salvini

di Ilvo Diamanti (Repubblica)

La tragedia di Bruxelles risulta ancor più tragica – e spaventosa – perché ci investe dovunque. Emotivamente, se non direttamente. Amplifica il nostro senso di insicurezza. È il significato della globalizzazione, spiegato con grande efficacia da Zygmunt Bauman. Il mondo che irrompe a casa nostra. Nella nostra vita. In diretta. Riflesso “mediatico” di un evento eccezionale, tanto più perché im-mediato. Istantaneo. Ma anche diretto.

Ne è ben consapevole il “nuovo” terrorismo, che adotta strategie di “aggressione” che usano, in modo esplicito e “aggressivo”, la comunicazione. Ne adottano le logiche, ne controllano il linguaggio e la grammatica. I meccanismi psicologici. Come le teste mozzate degli ostaggi occidentali, esibite in mondovisione. Diffuse sulla rete. Come trofei “spettacolari”.

I messaggi degli attentati di Bruxelles sono, a questo fine, esemplari. I luoghi, anzitutto. Le infrastrutture della “libertà”. La metro e l’aeroporto. I trasporti, il movimento, la mobilità. Nel mondo e in città. Scelta non a caso, come si è capito subito. Perché Bruxelles è il rifugio dei terroristi che hanno colpito Parigi. Bersaglio degli antiterroristi belgi e francesi. Ma Bruxelles è anche la sede della Comunità – e della burocrazia – Europea.

Anche la modalità dell’attentato appare un messaggio esplicito. I terroristi che si fanno esplodere in metro o in aeroporto sono “spaventosi”, perché dicono, anzi, gridano che non hanno paura di morire. Che il loro corpo è un mezzo, da usare in nome della loro fede. Un’arma al servizio della loro guerra, della loro causa. Contro i loro nemici. Diversamente da noi. Dai nostri morti. Vittime che ci inquietano tanto più perché, seguendo questo codice, potrebbe capitare anche a noi, ai nostri parenti, ai nostri amici. Dovunque, in qualunque momento.

Televisione

Televisione

Ma il terrore mediatico è rischioso. Per gli attori (criminali) e per il pubblico. Perché trasforma le tragedie in spettacolo. E, tende, in questo modo, a neutralizzarne l’effetto. A renderle ir-reali. D’altronde, gli attentati di Bruxelles hanno riempito il video, le pagine dei giornali. Si sono propagati sulla rete. E così avverrà ancora a lungo. Nella speranza, non troppo fondata, che non abbiano a ripetersi ancora. Come avviene, ormai, da oltre un anno. Con frequenza inquietante. Il problema, però, è che l’orrore, la violenza: fanno ascolti, audience. Non solo le tragedie reali, anche quelle irreali. Realizzate ad arte. Infatti, basta girare canale per imbattersi in fiction che propongono film e serial di contenuto analogo. Storie criminali di menti criminali. Interpretate da criminologi e da squadre di detective specializzate in delitti efferati. Accanto a programmi dove si narrano storie vere di delitti veri, risolti o irrisolti, non importa. Per questo la violenza reale, spietata ed efferata, a fini politici o (ir)religiosi, quando diventa mediale, moltiplica i propri effetti. E dilata il proprio pubblico. Ma così la tragedia rischia di sfumare nello spettacolo. Diventa fiction. È la “morte in diretta”, ad opera di fanatici criminali. E il kamikaze in fuga: “Chi l’ha visto?”.

Fotomontaggio Matteo Salvini

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