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Un alieno a Sanremo

Carlo Conti a Sanremo

Carlo Conti a Sanremo

di Massimo Acanfora Torrefranca, Musicologo

È stato il neurologo britannico Oliver Sacks a scrivere che il produrre suoni organizzati per puro diletto, ascoltarli, insomma, fare musica e occuparsene, sia una delle attività più inutili, incomprensibili, inspiegabili sotto un profilo razionale, fra le tante che gli umani intraprendono.

Ogni tanto ci provo a vedere e sentire la musica con gli occhi e le orecchie di uno d’un altro pianeta. Mi guardo da fuori e immagino di dialogare con un alieno che alberga in me e mi provoca: “cos’è quel gesto, e perché ne vengono fuori suoni?”; “perché quella signora sembra in trance, spalanca la bocca, ed emette un suono così potente?”; “perché qui uno si turba e si emoziona?”; “perché quel signore con lo sguardo spiritato gesticola con le mani e sessanta persone suonano guardandolo?”, e via di seguito. Insomma, provo a non dare per scontato quanto facciamo, sentiamo, vediamo ogni giorno, noi che mangiamo, beviamo, pensiamo, scriviamo, guardiamo, ascoltiamo musica come occupazione principale.

L’alieno si è risvegliato due sere fa, mentre guardavo Sanremo. Volevo distrarmi, semplicemente, fra un articolo ed una recensione, e sottomettermi per un po’ al rito nazionale di metà-fine febbraio. Niente da fare. Prima è entrato un signore che sembrava uscito da una telenovela brasiliana ambientata nell’Ottocento. Ha sorriso, si è messo una cuffia, e ha cominciato a dirigere un’orchestra. “Ma come?! Il direttore dev’essere in grado di sentire anche i particolari più insignificanti dell’ultimo degli strumenti, e quello si mette una cuffia per dirigere?!” Sì, ma deve sentire anche gli strumenti amplificati e tutta l’orchestra, che a sua volta è amplificata, risponde l’altra mia metà, il professionista. “Va bene, ma allora che ci sta a fare?” replica l’alieno. Dirige, no? “No, non dirige, guarda, alza le braccia al cielo tipo pugile, il volto in estasi, poi guarda gli orchestrali, allunga le braccia, spalanca di botto i pugni, il tutto fuori tempo!” Sono senza argomenti. In effetti, se quello è un direttore, io sono un giocatore di cricket.

Messa a tacere la mia metà vulcaniana, razionale ma indignata, provo a godermi – si fa per dire – un famoso gruppo. “Scusa, ma come mai non riescono a tirare un fiato solo per ogni frase musicale e si interrompono a respirare di continuo?” L’alieno non si arrende. Sarà un caso, replico, sai, fumano, hanno il fiato corto. “Ah sì? E come mai, verso la fine della loro emissione di fiato, che già non rispetta l’articolazione della frase, cacciano un urlo, deformano la faccia, stonano, e sembrano lì lì per tirar le cuoia? Sembrano in crisi di aria, ma lo rifanno sempre, forse è una richiesta d’aiuto, dovrebbero portargli subito la maschera d’ossigeno!” Ma no, vedi, è una forma di espressione… “No, dammi retta, è che rimangono strozzati”.

Taccio. Perché in fondo, ha ragione l’alieno. Qui tutto si svolge al contrario delle regole del far musica. Provo a farmi assopire dai suoni, tutti un po’ uguali. Ma non c’è pace, neanche guardando Sanremo. “Mi sai spiegare perché la cantante non va al tempo dell’accompagnamento? Mi pare tutto sfasato”. Confesso, sono a corto d’argomenti.

Poi, compare una vera extra terrestre. Un essere dalle fattezze galattiche. Canta di gola, e la voce le sparisce prima della metà frase. Sbaglia la nota, e se ne va (la voce). L’alieno non batte ciglio. Forse, pur nella generale incomprensibilità (per lui) del far musica, questa gli sembra una cosa di casa. Io, perplesso, non so più chi sia il marziano-venusiano: io, la mia metà schizofrenica, la signora sullo schermo, o il pubblico che segue lo spettacolo. E a questo punto, confuso, non so più neanche cosa voglia dire far musica. Perché con quello che ho studiato, tutto ciò ha molto poco a che fare. Chissà se su Vulcano c’è Sanremo…

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