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Solo dividendo elettorale? La «prima linea» di Renzi sul fronte UE

di Lina Palmerini (Sole 24 Ore)

Legge elettorale

Legge elettorale

Non c’è più nulla di improvvisato nella polemica di Renzi contro l’Europa. Dopo l’ultimo scontro di ieri è chiaro che il premier sull’Ue ha scelto una posizione politica ”strutturale” che risponde a logiche di consenso interno e anche al modo di gestire la presenza italiana a Bruxelles. Una fase nuova accompagnata da una nuova «prima linea» del renzismo: Calenda e Nannicini.

Se tutta la prima fase del Governo Renzi è stata segnata dalle riforme istituzionali – legge elettorale e Senato – adesso è chiaro che si è aperta una nuova sfida, quella con l’Europa. E se nella prima fase – che presto tornerà in auge con la battaglia del referendum – la “prima linea” renziana è stata rappresentata da Maria Elena Boschi e Luca Lotti, per quest’altra scommessa arrivano due nuovi ingressi, due innesti alla squadra: Carlo Calenda e Tommaso Nannicini. Il primo curerà la posizione italiana a Bruxelles, il secondo si occuperà di mettere un po’ di sostanza nell’agenda economica del premier ultimamente troppo infarcita di mance elettorali e povera di nuovi slanci riformatori. Perché è proprio il programma economico che diventa la carta di scambio per una trattativa con Bruxelles molto in salita. Pericolosamente in salita.

Si sa che a Bruxelles ma anche dalle parti di Berlino e Francoforte la legge di stabilità del premier non ha avuto buone recensioni. Tutt’altro. Anche se non è ancora arrivato il responso ufficiale sulla flessibilità, come ha ripetuto ieri la Commissione, i giudizi trapelati sono tutt’altro che lusinghieri. La scelta di tagliare le tasse sulla casa invece che sul lavoro; la scelta di prendersi la flessibilità sull’immigrazione per distribuire anche bonus ai giovani 18enni (e nuovi elettori) e tutto – per giunta – fatto a carico del deficit e senza uno sforzo di tagli alla spesa, ha precostituito ottime ragioni di “bocciatura”. L’aria insomma non è buona, come ha dimostrato lo sferzante e perfino ironico comunicato di ieri della Commissione Ue in cui si ricorda che la decisione di togliere dal computo del deficit i soldi per la Turchia era stata già presa ma che sul resto della flessibilità l’Italia è ancora sub judice.

Quel comunicato ha innescato un nuovo scontro con Renzi che ormai ha scelto, strutturalmente, di fare della polemica con Bruxelles una posizione politica. Che è a beneficio dei consensi interni, vista la crescente impopolarità tra gli italiani del temi europei, ma nel premier c’è anche la decisione di cambiare modo di stare in Europa.

Non è solo una strategia elettorale, insomma, perché nella scelta di portare Carlo Calenda a Bruxelles c’è il tentativo di modificare la forza contrattuale italiana attraverso un negoziatore nuovo, un non ambasciatore, che ha una formazione tutta economica e che ha molto chiare le convenienze dell’Italia e delle sue imprese come ha dimostrato raffreddando la trattativa europea sul riconoscimento alla Cina di economia di mercato.

Ma se Calenda è la presenza nuova dell’Italia nell’ostile terra europea, a Roma la partita con Bruxelles comincerà a giocarla l’altro nuovo ingresso, Tommaso Nannicini che si è appena insediato a Palazzo Chigi. Qual è il problema? Che se pure per quest’anno non dovesse esserci la bocciatura, per il prossimo non c’è scampo: scatteranno di nuovo le clausole di salvaguardia e per disinnescarle serviranno 15 miliardi e ci sarà l’obbligo di una riduzione dello 0,5% sul deficit per rientrare nelle regole del fiscal compact a cui l’Italia sta derogando. Più di 20 miliardi già ipotecati. E invece scriveva Nannicini ad agosto scorso sull’Unità: «Tra poco, anche l’Europa e la Germania saranno chiamate a permettere a tutti quei Paesi impegnati in uno serio sforzo di riforme di usare il proprio bilancio pubblico in maniera più flessibile. Gli strumenti per rilanciare lo scambio virtuoso tra riforme e allentamento (temporaneo) delle regole fiscali a livello europeo non mancano». Ecco il senso della sua presenza a Palazzo Chigi. Fare quelle riforme. Anche se il clima per quello scambio, oggi, non c’è.

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