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L’America e l’ondata antisistema

NEW YORK (Photo by Spencer Platt/Getty Images)

NEW YORK (Photo by Spencer Platt/Getty Images)

di Massimo Gaggi (Corriere.it)

NEW YORK – «Mi dia una lampada da 100 watt». «Signora lì non ne può usare più di una da 60». «Accidenti! Questo Obama se ne deve andare, mette regole dappertutto, ci condiziona pure sull’illuminazione di casa». Conversazione ascoltata l’altro giorno in un negozio di forniture elettriche. A New York, non nel «profondo Sud» conservatore. Un aneddoto da nulla, ma rende bene, nell’anno della scelta del nuovo presidente, lo stato d’animo di una larga parte dell’elettorato americano. Soprattutto i bianchi non più giovani che tendono a destra: tutti in preda a un’insofferenza diffusa, alimentata da fattori diversi (impoverimento del ceto medio, riduzione del ruolo dell’America nel mondo, anni di demonizzazione di un presidente etichettato come statalista dal partito repubblicano) che alla fine travolge pure l’«establishment» del fronte conservatore. Uno stato d’animo che sta aprendo la strada ai candidati dell’antipolitica (Donald Trump) o ai crociati di una politica che diventa integralismo (Ted Cruz).

La forza dell’antipolitica

Sarà probabilmente una campagna elettorale diversa da tutte le altre quella che si apre negli Usa lunedì prossimo con le primarie dell’Iowa (dove si voterà col meccanismo dei «caucus»). Il rifiuto dei politici di «lungo corso» (oltre al «tycoon» Trump e al chirurgo Ben Carson, brilla Cruz che è sì un senatore, ma al suo primo mandato, detestato anche dai colleghi di partito per le tecniche da guerriglia che usa in Congresso) di recente ha cominciato a estendersi, per motivi in parte diversi, anche al fronte democratico. Dove un candidato venuto dall’esterno del partito — Bernie Sanders, senatore socialdemocratico del Vermont eletto come indipendente — anziché fare la semplice comparsa, sta recitando a sorpresa un ruolo da protagonista: ha raggiunto Hillary Clinton nei sondaggi in Iowa ed è in testa in quelli del New Hampshire, dove si voterà una settimana dopo.
Alla fine dovrebbe spuntarla l’ex «first lady», ma l’ostilità nei suoi confronti che viene anche da una parte dell’elettorato progressista e lo scarso entusiasmo di chi la voterà considerandola il male minore, sono altri indicatori allarmanti di un’America malata: un Paese attraversato da un’ondata di malessere che travolge i professionisti della politica e rischia di compromettere alcuni delicati meccanismi della democrazia più importante del Pianeta. Lo si è già visto negli ultimi anni con la paralisi del Congresso per i veti incrociati di democratici e repubblicani e coi governatori degli Stati conservatori impegnati, nei loro territori, a smontare le riforme federali di Obama. Nessuno ha le idee chiare su quello che sta accadendo nella società americana perché i fattori che hanno scatenato questo terremoto politico sono numerosi e di natura diversa.
Democrazia digitale
I giovani progressisti che sostengono con entusiasmo un senatore 75enne, ad esempio, si sentono vittima delle crescenti diseguaglianze economiche che Sanders promette di correggere, ma soffrono anche per una sorta di delusione tecnologica: pensavano che la diffusione degli «smartphone» avrebbe dato loro più potere non solo come consumatori ma anche come soggetti politici. Il sogno della democrazia diretta, inizialmente alimentato anche da Obama, è, però, andato il frantumi la prima volta che la Casa Bianca ha chiesto agli elettori collegati via web di indicare le loro priorità: richieste a valanga di liberalizzare la marijuana e di svelare i presunti segreti sugli Ufo sepolti dentro Area 51, misteriosa base militare in Nevada. Obama a quel punto ha archiviato il «file» della democrazia digitale, mentre anche la promessa di rendere più trasparente l’attività di governo via Internet si è presto trasformata in delusione.
Così oggi la tecnologia applicata alla rete finisce per funzionare soprattutto da moltiplicatore delle frustrazioni e da megafono della rabbia sociale. Un vantaggio soprattutto per chi, come Trump, ha scelto di cavalcare questa rabbia con tempestività e in modo spregiudicato, usando con abilità Twitter e i nuovi media, da Instagram a Snapchat. Jeb Bush, icona della vecchia politica, è rimasto al palo, vittima di questi meccanismi che frenano anche altri politici di qualità come il senatore Marco Rubio e il governatore del New Jersey, Chris Christie: hanno ancora «chance» ma remano controcorrente. E il Grand Old Party, oppresso dal fantasma di Goldwater, l’«outsider» radicale che nel 1964 condusse i repubblicani a una sconfitta storica, teme, anche in caso di vittoria, un destino paradossale: battere i democratici riconquistando Congresso e Casa Bianca e finire disintegrato da un presidente antisistema.

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