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Ettore Scola

Ettore Scola (Corriere.it)

Ettore Scola (Corriere.it)

Il ricordo di Paolo Mereghetti (Corriere.it)

Trenta film, tanti capolavori girati sempre con autoironia
Da «Una giornata particolare» a «La terrazza», titoli già nella Storia. Militò con convinzione nelle file del Pci, non rinnegò mai la sua passione per la politica

L’ultima volta l’avevo incontrato a ottobre. La Festa di Roma mi aveva chiesto di presentare con Emiliano Morreale la copia restaurata di «La terrazza» ed ero salito sul palco della sala Petrassi insieme a Scola, sempre modesto, quasi timoroso di essere chiamato ancora una volta a parlare di un suo film. Nella sua carriera aveva scritto più di ottanta sceneggiature, spesso in coppia con Ruggero Maccari, e di film entrati di diritto nella storia del cinema da «Un americano a Roma» a «Il sorpasso» , da «Adua e le compagne» a «I mostri»; aveva diretto più di trenta film (con alcuni capolavori assoluti, come «Una giornata particolare» , «C’eravamo tanto amati» , «La terrazza» ) eppure quando gli si chiedeva di parlare della sua carriera finiva sempre per svicolare, per sminuire il suo ruolo, per vedere i difetti più che le qualità.

Era fatto così. Era cresciuto al Marc’Aurelio e poi all’interno di quella grande fucina del cinema italiano che era stata negli anni Cinquanta la scuola degli sceneggiatori della neonata commedia all’italiana, dove la parola d’ordine era ironia, meglio se rivolta sul proprio operato. L’anno scorso le figlie gli avevano dedicato un documentario dove era intervistato da Pif e più di una volta il regista aveva scompaginato le carte dell’intervistatore, smussando gli elogi, mettendo in discussione il proprio lavoro, ironizzando su se stesso e sul cinema in generale. Non gli andava di costruire un monumento alla propria carriera, di cui pure sapeva i meriti e le qualità. Ma alla fine, a vincere era sempre l’autoironia, il sottotono.
Se andavi a casa sua, la prima cosa che colpiva erano gli scaffali dietro la sua scrivania: dentro c’era quasi tutta la collezione della vecchia Bur, quella tascabile, con le copertine grigie. «Mi manca solo qualche volume – mi aveva confessato – non molti». Letti tutti, avevo chiesto? E lui mi aveva guardato con il suo sorriso un po’ sarcastico: «Quasi» aveva risposto.

Non li aveva letti tutti, ma molti sì, perché la sua generazione aveva cercato proprio nella lettura – nella cultura – la fonte principale d’ispirazione. L’aveva raccontato con un sorriso bonario in «C’eravamo tanto amati», dove l’illetterata Giovanna Ralli cercava di farsi coi libri quelle cultura che il marito Gassman aveva da tempo. L’aveva poi raccontata ancora nel personaggio di Mastroianni di «Una giornata particolare» (uno speaker dell’Eiar) e naturalmente nei personaggi di Trintignant e Reggiani di «La terrazza».

Per Scola non esisteva solo il cinema, prima venivano i libri e la capacità che offrivano di capire il mondo che ci circondava. Di cui Scola non aveva «cancellato» mai neanche un’altra cosa: il suo impegno politico che l’aveva portato a militare con convinzione nelle file del Pci. Neanche negli ultimissimi tempi aveva rinnegato quell’impegno: la politica per Scola era una cosa bella, di cui non vergognarsi. Ne conosceva gli errori (li aveva raccontati con grande lungimiranza col personaggio di Gassman in «La terrazza» ) ma anche i meriti e le fatiche. Gli sembravano valori da difendere, i libri e la tessera, e l’ha fatto fino alla fine.

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