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Cina al bivio tra crisi e inquinamento

Alla luce del peggioramento della pesante crisi finanziaria che sta investendo la Cina (Il Messaggero, Il Post, ANSA), ripubblichiamo l’articolo comparso in tempi euforici e non sospetti (Marzo 2015) su La Confederazione Italiana.

China Internet Plus Inc.

Premier Li Keqiang: “Aggiustare vigorosamente la struttura industriale.” Vaste programme, o del costo della censura cinese a Internet.

5 Marzo 2015, Assemblea Nazionale del Popolo, Premier Li Keqiang: “Aggiustare vigorosamente la struttura industriale. Coltivare nuove fonti di crescita, accelerare lo sviluppo di servizi a supporto dell’espansione di Internet mobile, circuiti integrati, macchine industriali di precisione, veicoli a energia alternativa e altri settori emergenti d’importanza strategica, l’improvvisa affermazione di online banking, e-commerce, logistica, consegna espressa e altre nuove forme di crescita rapida, molte ormai predominanti, promuovere le industrie culturali e creative. Allo stesso tempo, continuiamo a risolvere problemi di capacità in eccesso, ferro e acciaio, cemento e altri settori chiave, a eliminare capacità produttiva obsoleta dalla pianificazione annuale. Rafforzare il controllo dell’inquinamento atmosferico, completare obiettivi di eliminazione veicoli obsoleti e usati.”

L’italiano non è perfetto, me ne scuso, ma pur sempre meglio la traduzione gratuita dal cinese all’inglese (e, a seguire, mia traduzione dall’inglese all’italiano) di Baidu Translate (il servizio di traduzione automatica di Baidu, “il Google cinese” quotato al NASDAQ dal 2005) che niente.

Il discorso del primo ministro cinese è liberamente consultabile sul portale web Sina.com.cn (Sina Corp, quotata al NASDAQ dal 2000, è anche proprietaria di Weibo, “il Twitter/Facebook cinese”), che rilancia le notizie del giornale People’s Daily, quotidiano ufficiale del governo cinese, e di Xinhua News Agency, agenzia stampa ufficiale del governo cinese.

Stando a Wikipedia, un cittadino cinese invece non deve avere vita per niente facile a consultare articoli pubblicati su The New York Times o Bloomberg e a utilizzare i servizi di Google (“il Google americano”). Molti articoli dell’enciclopedia libera stessa subiscono la censura governativa cinese.

Digitare “portale web” ha prodotto un effetto madeleine che ha catapultato la mia memoria all’anno 1997 del calendario gregoriano, quando la rivista americana Wired coniò l’espressione The Great Firewall of China preveggendo che “la tecnologia di cui ha bisogno la Cina per costruire il Paese più potente della Terra del XXI secolo minaccia di minare alla base le istituzioni che governano la nazione”.

Sarcasmo a parte, Li Keqiang è molto concreto e sincero (soprattutto se paragonato alla prassi retorica occidentale) nella diagnosi: l’industria cinese è un cavallo obeso che si accinge a gareggiare col Varenne dell’ICT americano, pronto a snellire i vecchi paradigmi logistico-manifatturieri e potenzialmente anche a trainare la carrozza di un’Europa che, qualora riuscisse a cogliere l’opportunità nonostante sé stessa, potrebbe vantare una certa tradizione nella manifattura di qualità e precisione.

Purtroppo la prognosi del governo cinese non è altrettanto realistica: il programma Internet Plus intende dopare il cavallo obeso con pesanti iniezioni di ICT parastatale made in China, invece di cominciare da subito una cura dimagrante vigorosa ma graduale (con tutta l’agitazione politica del caso), non facendo altro che rendere necessaria una dolorosa restrizione gastrica poi (accrescendo ulteriormente il rischio di gravi turbolenze politiche).

Siamo naturalmente di fronte alla classica politica industriale di protezione dell’industria nascente, già sperimentata nel settore dal Brasile con esiti fallimentari. Secondo l’economista Eduardo Luzio, da fine anni Settanta a inizio anni Novanta tale politica in effetti accelerò la crescita dell’elettronica brasiliana, ma comunque non a sufficienza rispetto al potenziale internazionale, causando un ritardo del rapporto prezzo/performance nazionale di almeno tre e fino a cinque anni.

Senza nemmeno scomodare l’econometria, il buon senso pedagogico suggerisce che il contatto tra bambini, nonostante e grazie a un po’ di stress competitivo/cooperativo, abbia un salutare effetto stimolante e disciplinante.

Il bambino americano infatti non ha timore di permettere la quotazione record del gigante Alibaba (“l’eBay cinese”) al NASDAQ e l’ingresso di Baidu nel capitale di Uber, per restare in tema d’innovazione logistica.

Anzi, in accordo con la migliore tradizione filosofica orientale, intravede in tale concessione la possibilità di costruire un formidabile Cavallo di Troia, secondo la migliore tradizione militare e informatica occidentale.

Il problema fondamentale è che per la Cina si tratta in realtà di una scelta di politica industriale obbligata, a causa della necessità di censura mediatica a garanzia della stabilità politica interna. Se non fosse che l’eccesso di stabilità politica stessa si sta trasformando in vera propria rigidità istituzionale con conseguente rischio di stagnazione economica.

Il programma Internet Plus non produrrà lo sperato aggiustamento tecnologico di lungo periodo (Forbes lo ha definito un “net minus”, consigliando minore dirigismo), mentre sta già causando ulteriori squilibri nel breve periodo, gettando benzina sul fuoco di una bolla hi-tech di proporzioni mai viste, nemmeno lontanamente paragonabile, secondo Bloomberg, alla bolla dot-com americana stessa, scoppiata a cavallo del secondo e del terzo millennio.

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