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Sesso non protetto e quelle deficienti che credono sia amore

15 donne, 15 ragazze, 15 sprovvedute, che hanno pensato che Valentino fosse quello giusto, che si sono fidate. 15 che potevamo essere noi o qualche nostra amica.

Il punto vero della storia è la corresponsabilità che abbiamo noi donne, in questa partita.

di Memorie di una vagina, repubblica.it

Punto primo: No condom, no party.

La vicenda del 30enne romano HIV positivo che ha infettato mezza capitale facendo bareback, cioè sesso non protetto, a nudo, senza profilattico, mi ha molto colpita. Mi hanno colpita diversi aspetti, a dire il vero. In primis mi ha colpita che si chiami Valentino, che – ironia della sorte – è proprio il santo degli innamorati. Poi mi ha colpita il fatto che Valentino adescasse le sue vittime online, cioè che facesse ciò che tutti facciamo: usare social network e dating app per rimorchiare/procacciare appuntamenti/conoscere gente nuova. E fin qui, nessun problema. Il problema sorgeva quando Valentino NON diceva di avere l’HIV, quando proponeva di avere rapporti sessuali senza protezione, quando contraffaceva i risultati dei suoi esami per spacciarsi per negativo. E 15 donne (per il momento, ma potrebbero essere di più), pare siano state contagiate. 15 donne, 15 ragazze, 15 sprovvedute, che hanno pensato che fosse quello giusto, che si sono fidate, che avevano la sensazione, che figurati se capita proprio a me, che la sfiga ci vede benissimo. 15 deficienti, insomma. 15 che potevamo essere noi o qualche nostra amica.

Perché anche se tutte ricordiamo il celeberrimo e aggressivo spot con la linea viola intorno alle persone HIV positive degli anni ottanta, anche se tutte siamo cresciute con la pubblicità dei profilattici a ora di cena in tv, anche se sappiamo che è sbagliato e che è un rischio, a volte, lo facciamo senza. Non per abitudine, ma se guardate indietro nel vostro ultimo decennio, se ci pensate bene, non è che avete sempre viaggiato con le cinture allacciate. Almeno un giro in motorino senza casco ve lo siete fatto. E se voi proprio mai (e non ci credo, a meno che non siate vergini), di sicuro sapete che alle vostre amiche è successo. Perché la verità è che questa cosa succede. E succede anche a donne ben istruite, donne intelligenti della cui sensibilità non dubito, donne consapevoli dei rischi a cui si espongono, non solo per l’HIV ma anche per tutta quella pletora di sgradevoli fenomeni di cui la candida, l’hpv e l’immunodeficienza sono solo alcune delle opzioni possibili.

Ma fin qui è semplice. Ok, sesso occasionale uguale preservativo, sempre, va bene.

Ma cosa succede quando la frequentazione occasionale diventa una specie di relazione (cosa che comunque, stiamo serene, succede di rado, al limite del “quasi mai”)? Insomma, che si fa? Perché, lo sappiamo, arriva un momento in cui il profilattico viene meno. Insomma, volemose bene senza barriere architettoniche tra i miei fluidi organici e i tuoi. Tanto io prendo la pillola. Tanto lui è campione olimpionico di salto della quaglia. Non si sa bene quand’è che giunga questo momento. Se dopo 1 settimana, 1 mese o 1 anno. Ma prima o poi giunge. E non è che di solito ci si mostri, tra gente comune (cioè i non-pornodivi), un certificato medico, delle analisi o altro. Del resto, cosa fai? Glielo chiedi? Gli chiedi di farsi le analisi con te? E se lo chiedesse un uomo a te? Probabilmente ti turberesti, ti irrigidiresti, ti chiederesti se stia insinuando che sei una bottata incosciente.

E anche quando la relazione ce l’hai, non sai (a meno che tu non voglia scoprirlo) se il tuo partner va a letto con altri/e, se usi precauzioni quando lo fa, quindi cosa fai? Contestualmente al rapporto di coppia stabilisci che una volta all’anno entrambi vi fate le analisi, così per fugare ogni dubbio? Non è forse una dimostrazione di scarsa fiducia nell’altro? Ci limitiamo ad auspicare che il nostro partner, se non fedele, sia per lo meno sufficientemente intelligente da proteggersi nei coiti di fortuna? Ero così confusa che ho contattato Lella Cosmaro, che – oltre a essere un’amica – da tantissimi anni si occupa di prevenzione per la sede milanese della LILA – Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids. Le ho chiesto se, per esempio, i test rapidi salivari siano attendibili e se siano facili da reperire; se sia davvero semplice scoprire se sei positivo all’HIV con un test tipo quello di gravidanza (come pareva far capire – o almeno così ho capito io – un servizio de Le Iene andato in onda lunedì  7 dicembre). Lella mi spiega: «In Italia i test rapidi salivari non sono disponibili a tutti: non li si può acquistare in farmacia. Li si può trovare su internet, oppure li si può scegliere tra altre opzioni (test “tradizionale” con prelievo venoso, test rapido capillare con puntura del polpastrello) presso alcuni ambulatori e centri clinici, o alcune organizzazioni no profit come la nostra, autorizzate a utilizzarli, sempre alla presenza di un medico». E aggiunge:«Anche se una coppia avesse a disposizione i test rapidi salivari (poniamo li abbia comprati su internet), sottoponendosi al test insieme, in caso di risultato negativo per entrambi saprebbe per certo che entrambi erano negativi tre mesi prima. C’è sempre il problema del periodo finestra che, per il test salivare, rimane ancora di tre mesi. In realtà, una coppia che decida di fare sesso non protetto senza rischiare deve passare per un periodo “obbligato” di sesso con il condom. Passato il periodo finestra (sottoponendosi al test con prelievo di sangue di 4a generazione, il periodo finestra si riduce a circa 4 settimane) ci si sottopone insieme al test e, in caso di esito negativo, si può finalmente fare tutto ciò che si vuole senza problemi».

Lo so. Sembrerebbe una cosa da paranoici, germofobi, ipocondriaci, calcolatori, nevrotici. Ma il punto vero è che tutta questa vicenda di Valentino, a parte le considerazioni strette sulla sua condotta, solleva un tema cruciale: la corresponsabilità che abbiamo noi donne, in questa partita. Uno spazio di riflessione che forse è ora di prenderci.

«Lui non ha ovviamente alcuna scusante, ma bisogna anche sempre ricordare che, dopo 30 anni di informazioni sulla prevenzione, le persone (in questo caso le ragazze, ma questo vale per tutti e per tutte) che decidano volontariamente di fare sesso senza utilizzare protezioni, un minimo di esame di coscienza dovrebbero farselo. Dovremmo essere tutti/e più attenti alla tutela della nostra salute, anche in certe situazioni in cui entrano prepotentemente in gioco le emozioni. Più facile affermarlo che praticarlo, lo sappiamo tutti…», conclude Lella.

Insomma, facile a dirsi e difficile a farsi.

Difficile com’è difficile sensibilizzare i giovani. Tenere alta l’attenzione degli adulti. Far evolvere l’etica delle relazioni umane. Lavorare sulla cultura. Amare.

 

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