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Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris.

Stazione Carabinieri Porto Recanati (foto Cronache Maceratesi)

Stazione Carabinieri Porto Recanati (foto Cronache Maceratesi)

Il 4 marzo del 1992, giorno delle ceneri, ci portò una tragedia infinita. In via Rossini civico 11, Bruno Calcabrini, 48 anni, cassintegrato, uccise con un coltello da cucina il figlio Michele (un diversamente abile), la moglie Assunta Ascani, debole e seriamente malata, la suocera Gina Torresi. Tutti e tre, in pochi attimi. Un gesto d’improvvisa follia? Il risultato di una disperazione a lungo contenuta e esplosa poi come un fulmine? “Voglio morire”: sono le prime parole di Calcabrini al risveglio nel letto dell’ospedale di Loreto dove si trovava ricoverato per le ferite infertesi nel tentativo di suicidarsi. Perché? È la domanda che si fanno tutti. Tenta di rispondere anche Luciano Onder, o meglio lo psicologo da lui intervistato per il Tg delle 13. Ma non ci riesce.

Il perché vero è nella mente di Dio, commenta don Antonio Fanesi, salesiano. Per età e esperienza, lui la sa lunga assai sulla vita e non si lascia indurre a giudizi affrettati come accade al giovanotto biondo, occhiali all’ultima moda, che sentenzia all’amico che ha accanto, assolutamente non assalito dal minimo dubbio: È un gesto premeditato –, con l’aria di chi concede al mondo una perla di saggezza. Nemmeno la morte può nulla sulla stupidità (sintesi dal Corriere Adriatico del 5 e 6 marzo 1992).

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Corriere Adriatico, 7 marzo ’92.

Porto Recanati sgomenta di fronte alla tragedia

Tre bare e attorno il silenzio

In chiesa non si fa un passo. Era già affollata una buona mezz’ora prima che le bare arrivassero da Loreto. Quando sono state portate dentro, altra gente è entrata, finché è stato possibile … Si vive una situazione irreale: davanti alle tre bare i celebranti e poi un silenzio che mette i brividi. È dal parroco che parte il segnale della commozione generale, quando pronuncia poche parole prima di iniziare la messa, e ricorda che siamo qui, di fronte al Signore che ha aperto a quei nostri tre fratelli la porta dell’eternità. La voce s’incrina, la gente, tutta, ha gli occhi lucidi. Una donna si volta e fa per andarsene coprendosi il volto con il fazzoletto. Non ce la fa. Intorno a lei c’è una muraglia umana…

Letti da una ragazza, giungono gli ammonimenti dell’apostolo Giovanni: “Né morte né lutto, né lamento né affanno perché le cose di prima sono passate”… Il celebrante bandisce ogni retorica dalla sua omelia. Si sente che per lui è difficile parlare a questa folla che pure attende la parola del conforto. “Siamo qui per piangere – dice -. È vero. Anche per chiederci il perché di questa tragedia sociale; è vero anche questo. Davanti a voi ci sono tre vite troncate: quali parole volete che si dicano? La sola, vera Parola è Dio che raccoglie la nostra pena, i vasi rotti, i cocci della nostra miseria, Dio che comprende, perdona, santifica”…

Il rito si compie nel silenzio più assoluto; nessun brusio, nessun singhiozzo. La chiesa comincia a svuotarsi. Ci vuol tempo prima che appaiano le bare portate a spalla, una dietro l’altra, di fronte alle centinaia di persone in strada. Siamo alla fine. Si muovono i carri funebri per l’ultimo viaggio di Assunta, Michele e Gina. Passano attraverso la città che si è fermata, muta anche lei, perché, come ha detto il parroco, parole non ci sono per spiegare tragedie come quella del mercoledì delle ceneri …(l.p.)

Nell’aprile successivo siamo ricatturati dalla tragedia Calcabrini. Questa volta è l’ultimo atto: Bruno, detenuto nel carcere di Perugia, si impicca e mantiene la promessa: Voglio morire.

Calcabrini si è ucciso in carcere

Bruno Calcabrini è stato trovato morto ieri mattina, verso le 5,30, da una guardia carceraria che lo aveva chiamato per un controllo senza ottenere risposta. L’uomo del mercoledì delle ceneri più tragico della nostra storia comunitaria si è impiccato a una specie di corda fatta con sacchetti di nylon. Il compagno di cella di Calcabrini ha affermato di non essersi accorto di nulla perché stava dormendo. Il pluriomicida era tornato da due giorni nella sua cella da Macerata dove era stato condotto per essere interrogato dai magistrati…In via Rossini dove Calcabrini abitava, al numero 11, la gente tace. Nessuno ha troppa voglia di commentare l’epilogo del dramma. Come se tutti avessero desiderio di chiudere in fretta questo nuovo, brutto capitolo. È difficile dar loro torto. E va capito il silenzio nel quale si sono chiusi i parenti di questa famiglia distrutta. Capito e rispettato (l.p.).

(Corriere Adriatico, 11 aprile ’92)            

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