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Giornata Mondiale di lotta all’AIDS: giovani a rischio contagio da HIV perché non usano il preservativo

di Adriana Bazzi (Corriere della Sera)

Nel nostro Paese non cala il contagio, anzi, aumenta soprattutto fra gli omosessuali maschi. Numeri mai così alti anche in Est Europa tra eterosessuali e tossicodipendenti.

Sono tre i numeri che, sfogliando le numerose statistiche sfornate da diverse istituzioni in previsione della Giornata Mondiale di Lotta all’Aids (primo dicembre), fanno impressione. Soprattutto oggi, dal momento che la malattia ha ormai 35 anni di vita, almeno in Occidente.

Qual è la causa dell’infezione da HIV?

Italia: contagi tra giovani omosessuali

Il primo riguarda l’Italia: sono 3.695 le persone che, nel 2014, hanno scoperto di essere sieropositive, un dato che non si è modificato negli ultimi tre anni. Come dire che la prevenzione non funziona. Ma la cosa più preoccupante è che l’infezione interessa i giovani fra i 25 e i 29 anni che, otto volte su dieci, si contagiano durante rapporti sessuali, perché non usano il preservativo. E sono soprattutto omosessuali maschi (40 per cento dei casi). È la fotografia scattata dal Centro Operativo dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

Europa: mai così tante infezioni come nel 2014

Con oltre 142 mila diagnosi di Hiv nel 2014, la Regione Europea (con questo termine non si intende la Unione Europea, ma, appunto, la Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – Oms – che comprende anche le Repubbliche ex sovietiche) ha registrato il più alto numero di nuove infezioni in un anno da quando è cominciata l’epidemia, all’inizio degli anni Ottanta. I dati sono del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (Ecdc) e dell’Ufficio Regionale dell’Oms per l’Europa. La trasmissione eterosessuale è la maggiore responsabile dell’aumento dei casi nell’Europa Orientale, seguita dall’uso di siringhe infette fra i tossicodipendenti.

Africa: l’Aids è la causa principale delle morti fra gli adolescenti

Secondo l’ultimo rapporto Unicef, dei 2,6 milioni di bambini, sotto i quindici anni, che hanno contratto l’Hiv, solo uno su tre ha accesso ai farmaci. Il problema riguarda soprattutto l’Africa, dove l’Aids è la causa principale delle morti fra gli adolescenti (il numero di morti è triplicato negli ultimi quindici anni). I Paesi più colpiti sono: Sud Africa, Nigeria (e questa situazione ha conseguenze anche da noi, come vedremo dopo a proposito di immigrati), Kenya, India, Mozambico e Tanzania. Di infezioni da Hiv non si parla più, se non, appunto, in occasione della Giornata Mondiale dell’Aids, ma il virus ha ancora un impatto importante e preoccupante in tutto il mondo, anche se l’Unaids, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’Aids, è ottimista: con il suo progetto Fast Track vuole raddoppiare il numero delle persone in trattamento anti-retrovirale (salvavita) entro il 2020 e vuole tentare di eradicare la malattia entro il 2030, come parte dei suoi Sustainable Development Goals. Oggi sono in cura 15,8 milioni di persone, ma il numero complessivo di infetti è di 36,9 milioni. L’obiettivo dell’Unaids per il 2020 è: 90-90-90. Cioè: entro quella data il 90 per cento delle persone sieropositive dovrebbero conoscere questa loro condizione, il 90 per cento dei sieropositivi dovrebbero avere acceso ai farmaci e il 90 per cento delle persone in trattamento dovrebbero eliminare il carico virale.

Focus Italia: la prevenzione non funziona

«I dati dell’Iss parlano di “nuove diagnosi” nel 2014, cioè di persone (appunto le 3695) che sono venute a conoscenza del loro stato l’anno scorso, ma che potrebbero essere state contagiate anni addietro – commenta Massimo Galli professore ordinario di Malattie Infettive all’Università di Milano, Ospedale Sacco – . E i numeri non sono cambiati negli ultimi anni: non siamo andati indietro (quindi i programmi di prevenzione, a patto che esistano, non stanno funzionando, ndr), il rischio è che andiamo avanti, con sempre più casi. Altra questione sono i nuovi contagi avvenuti l’anno scorso: non si conoscono i numeri reali, ma si stimano attorno ai 2-4 mila. Riguardano prevalentemente omosessuali maschi (dopo infinite discussioni nell’ambito dell’Unaids, adesso si chiamano MSM, cioè maschi che fanno sesso con maschi, ndr) che non usano il preservativo. Un’altra fetta riguarda gli stranieri (secondo il rapporto dell’Iss sono il 27 per cento). Paradossalmente però gli stranieri (come dimostra uno studio francese) sono quelli che più si sottopongono ai test».

Persone sieropositive che non sanno di esserlo

Un altro dato preoccupantissimo per l’Italia è che una quota crescente di persone sieropositive per l’Hiv è inconsapevole della propria condizione: tra il 2006 e il 2014 è aumentata dal 20,5 per cento al 71,5 per cento la percentuale di persone che scoprono di essere infettate dal virus quando già hanno la malattia conclamata, cioè l’Aids vero e proprio. Come dire che anni fa si intercettavano prima, oggi si arriva in ritardo. «Non dimentichiamoci che in Italia – aggiunge Galli – esiste un sommerso di persone sieropositive che non sanno di esserlo: si stima che in totale i sieropositivi, noti e non noti, siano 120-130 mila».

Prevenzione: la strada farmacologica

Ma che cosa è possibile fare oggi per limitare l’impatto dell’infezione, almeno nei Paesi Occidentali? Sono due le proposte: una è individuabile con la sigla Prep, l’altra con Start. Prep (PRe Exposure Profilaxis) sta a indicare la possibilità di somministrare farmaci anti-Hiv (nel dettaglio: una pillola composta da due antivirali: emtricitabina e tenofovir) in popolazioni a rischio di contrarre l’infezione. La profilassi pre-esposizione, secondo i Centers for Diseases Control di Atlanta, Usa, andrebbe raccomandata almeno al 25 per cento degli uomini omosessuali o bisessuali sessualmente attivi, al 20 per cento degli adulti che si iniettano droga e anche a un 1 per cento di eterosessuali (ma nemmeno i medici di base americani conoscono questa opportunità!). «È un approccio meno usato di quanto non sia opportuno – commenta ancora Galli – e forse un po’ enfatizzato. L’importante è che non venga considerato come una “pillola del giorno dopo” analogamente a quanto si fa dopo un rapporto sessuale a rischio per evitare una gravidanza».

Prevenzione: la terapia nei sieropositivi

E veniamo alla terapia vera e propria. Oggi il mantra è “test and treat”, cioè fai il test per verificare la sieropositività all’Hiv e, se c’è, tratta subito perché è meglio in termini di riduzione della trasmissione dell’infezione e per controllare l’evoluzione dell’infezione nel singolo paziente. Lo dice, appunto, lo studio Start , pubblicato lo scorso settembre dalla rivista americana New England Journal of Medicine. «Però la proposta di terapia – dice Galli – deve sempre tenere conto del singolo paziente ed essere ritagliata caso per caso».

AIDS (La Gazzetta Nissena)

AIDS (La Gazzetta Nissena)

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