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Bandiera rossa la trionferà

Bandiera rossa (foto salvatoreloleggio.blogspot.com)

Bandiera rossa (foto salvatoreloleggio.blogspot.com)

La morte di Armando Cossutta me ne ricorda un’altra, storico-politica questa, consumatasi in un dicembre di ventiquattro anni fa. Cossutta lo rivedo con chiara memoria di quando venne a Porto Recanati e tenne un incontro con la gente nella palestra Diaz. Era l’anno del gran rifiuto degli Stati Uniti reganiani di mandare i propri atleti alle olimpiadi di Mosca, dunque il 1984, causa Afganistan. Il compagno Cossutta non sapeva darsi pace dell’offesa portata all’Unione Sovietica dall’istrione capitalista americano. Coerente con le sue convinzioni di tutta una vita di combattente all’ombra della bandiera rossa, è morto l’altro ieri portando con sé una speranza infranta.

Un altro dicembre, quello del ’91, ospitò l’ultimo giorno in cui la bandiera rossa dell’Unione Sovietica sventolò sul Kremlino. Svaniva per milioni di persone nel mondo un’illusione di giustizia naufragata nella palude sanguinosa del socialismo reale. Ma c’era chi non voleva, né volle rassegnarsi. Gente cresciuta sotto il fascismo, perseguitata dal fascismo e che il fascismo aveva combattuto a prezzo di paure e sacrifici e a rischio della propria incolumità. Come Luciano Mastini.

 Corriere Adriatico del 23 dicembre ‘91

Il vecchio comunista e il crollo dell’Unione Sovietica

Luciano Mastini, classe 1904, era simpatizzante socialista già negli anni dell’ascesa del fascismo. E questa, le camice nere della famigerata Disperata non gliela perdonarono quel giorno che scesero a Tarquinia dove viveva, e lo bloccarono per strada. La sua colpa: distribuiva volantini di propaganda sindacale e politica. E giù botte.

Nel ’44 Luciano prese la tessera del P.C.I.; gli consegnarono anche un distintivo che conserva nel portafoglio, avvolto in un pezzo di carta, per non sciupare tanta ricchezza. Lo mostra con l’orgoglio innocente di un ragazzo pieno di entusiasmo, lui, il grande vegliardo del comunismo portorecanatese…“Nel ’44 – racconta – in sezione vennero dei soldati polacchi. Videro la foto di Lenin e ci chiesero se eravamo comunisti. Al mio sì uscirono e si misero a farla sulla porta”.

Anni brutti, mormora, e anche quelli che seguirono non furono allegri; quando il verbo era Togliatti, un capo, ora svillaneggiato con troppa facilità da chi a quel tempo o non c’era oppure se ne stava seduto a casa sua: “Gli scioperi, i sacrifici, li facevamo anche perché Togliatti riscuoteva la nostra fiducia. Era un politico, uno vero. Altro che Occhietto; non Occhetto, proprio Occhietto, scrivi così; lo sta strizzando a tutti, a sinistra, a destra, al centro”.

Neanche a dirlo, Mastini ha aderito a Rifondazione Comunista “perché mi onoro di questo titolo”. La spina, però, è nel cuore e affonda sempre più. Al pensiero che il 31 dicembre, con la bandiera rossa del Kremlino, sarà ammainata tanta parte della sua stessa storia personale, il vecchio combattente pronuncia parole di tristezza. Non piange, come molti che abbiamo visto in televisione o su qualche piazza emiliana; in lui vive ancora lo spirito del guerriero, del cavaliere delle lotte proletarie; e i cavalieri sanno vivere i propri drammi con dignità.

“Per me l’Unione Sovietica ha significato un punto di riferimento ineliminabile per il riscatto dei popoli dalla schiavitù, per la liberazione dal tallone capitalista. Chi ha distrutto lo zarismo? Chi ha sconfitto il nazismo? Gli uomini hanno la memoria corta”. E Gorbaciov? “Ha dato il più grande contributo per la pace nel mondo. Questo Eltsin l’ha fregato. Prima gli ha fatto l’amico, poi lo ha messo da parte”.

Altri abbattano i miti e si inventino una Russia nuova, se vogliono. Luciano Mastini vuol continuare a credere nella sua.

 

Alcuni versi di un poema di Evgenij Alexandrovič Evtušenko, saluto alla Russia delle speranze con lo sguardo, però, volto pure a quella dell’orrore.

 

Arrivederci bandiera rossa.

Eri metà sorella, metà nemica.

Eri in trincea speranza

unanime d’Europa,

ma tu di rosso schermo

recingevi il Gulag.

E sciagurati tanti

In tuta da carcerati.

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