Tra i primi alberi ad essere piantati, ci sono certamente quelli della vecchia via Aprutina, poi corso Vittorio Emanuele II, oggi corso Matteotti. Lo si legge in una delibera del giugno 1903.
L’anno dopo, il 22 marzo 1904, il consiglio comunale decise la piantumazione del tratto di corso tra le ultime case a sud (all’altezza di via Micca) e il fiume Potenza. Si parlò di 300 piante di vario genere. Ciò significa che tra via Micca e la piazza grande, intitolata a Umberto I, gli alberi c’erano già.
Ma le prime piante in assoluto nacquero proprio nella suddetta piazza, che era la cartolina con la quale il paese si presentava e si presenta ancora. Nella stessa delibera del 1904 si fa riferimento agli alberi “seccati” di piazza Umberto I, che andavano perciò sostituiti e che stavano certo lì da qualche anno.
Per la verità, di questa operazione si parlò ancora nel 1912 e poi, addirittura, nel ’22. Adesso si capisce perché si dicesse “ce (v)edému ai arbulétti (alberetti)” per significare un appuntamento in piazza; evidentemente quelle piante restavano sempre piccole, condannate da un rachitismo mai curato.
Novembre 1922: bisognava piantare pini nel corso, tra gli incroci con via Micca e piazza Carradori e abbattere gli oleandri americani (“oleandri” è una mia libera interpretazione: non si legge bene il termine nell’originale dove pare scritto alcandos, oleandos). Questi alberi stavano troppo in mezzo alla strada. Prima, però, si dovevano mettere i pini. Gli oleandri che sorgevano in via Micca, potevano restare.
Nel febbraio 1925 fu deliberata l’alberatura di via Lepanto, il lungomare, e ancora nel ’26 si tornò sull’argomento, specificando che i lavori di piantumazione, iniziati nel 1923-’24, con pini e oleandri, palme e tamerici, dovevano procedere con celerità. L’esperimento era andato bene e valeva quindi la pena di estenderlo anche al corso.
Spostiamoci in via Regina Margherita, adesso via Gramsci (statale 16 Adriatica). Siamo all’inizio del ’27 e si decide per una tripla fila di platani, che pianterà la ditta Pellegrini di Castelfidardo al prezzo di 6 lire per pianta, totale 6900 lire.
Il 4 gennaio 1928, il segretario comunale Dante Santucci scrisse una lettera indirizzata al Ministero del Turismo, al fine di ottenere per il Porto il riconoscimento di Stazione di Cura e Soggiorno. Il funzionario non mancò di magnificare, tra l’altro, la doppia fila di oleandri e pini di corso Vittorio Emanuele, le palme i pini e gli oleandri di via Lepanto.
La prima amministrazione della Liberazione si accorse, nel settembre 1944, che i pini di corso Matteotti erano troppo vicini tra loro (solo 4 metri li separavano), allora che si fa? Se ne abbatterono uno su due e al posto degli alberi assassinati si progettò la collocazione di piante meno impegnative. Conclusione: i vuoti resteranno tali e finiranno per diventare parcheggi.
Nel resto del territorio cittadino la flora è quella mediterranea, né potrebbe essere altrimenti.
Va dato comunque rilievo alla pineta Volpini. Ci vollero trent’anni per farla e ce ne vorranno sicuramente di meno per disfarla, se si va avanti così. Nel 1900, l’ingegner Volpino Volpini, amministratore pubblico, deputato nel ’21, rampollo della più potente famiglia cittadina, si mise al lavoro, circondato dallo scetticismo generale, condito dei sorrisini di chi sa sempre bene come andrà a finire. E andò a finire con i pini, e altro, che attecchirono nelle dune creando un angolo di paradiso. Adesso rido io, scrisse allora Volpino. Lui poté farlo; a noi, purtroppo, di fronte al disgregarsi del suo lavoro, non resterà che piangere.
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