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«A termine, a progetto, o gli stage; ma qualcuno mi vuole davvero?»

«A termine, a progetto, o gli stage; ma qualcuno mi vuole davvero?»

«A termine, a progetto, o gli stage; ma qualcuno mi vuole davvero?»

do Beppe Severgnini con il contributo di Stefania Chiale dal Corriere.it

Il terzetto avanza tra le montagne basse senza neve. I sentieri sono quelli estivi, è come se gli avessero levato il colore. Una passeggiata in bianco e nero: solo il cielo è azzurro. La Pianura padana, in basso, è un cuscino di nebbia. Camminano insieme Annamaria, classe 1936; il figlio Paolo, nato nel 1962; il nipote Filippo, che tra poco compirà 23 anni. Tre caratteri diversi. Lei ironica e tenace. Paolo genericamente amareggiato, abitualmente polemico, regolarmente insoddisfatto. Filippo ha imparato a non far caso agli umori paterni. Ha tutta la vita davanti, come recita il titolo di un film che non ha visto. Nel 2016 finirà l’università e deciderà cosa fare. Non ha voglia di parlarne con il padre e la nonna, durante una passeggiata, il penultimo giorno dell’anno. Ma non c’è pericolo: lo faranno loro.

ANNAMARIA: «La passeggiata». Come quel libro.
FILIPPO: Libro?
ANNAMARIA: Robert Walser, svizzero. È pure morto, durante una passeggiata.
PAOLO: Un autore coerente.
ANNAMARIA: Nella notte di Natale del 1956, tra la neve. Questa cosa mi ha sempre colpito. Uno scrive «La passeggiata» e muore in passeggiata.
PAOLO: È come se Leonardo fosse defunto a tavola.
ANNAMARIA: Cosa c’entra Leonardo?
PAOLO: L’ultima cena.
FILIPPO: Mi sento escluso da questa conversazione. Posso sapere di che state parlando?
ANNAMARIA: Di un libro dove l’autore racconta la gioia di passeggiare pensando. O di pensare passeggiando. L’avrò letto cinque volte. «Non riuscirò mai a capire che gusto ci sia a passare velocissimi davanti a tutte le immagini e gli oggetti che la nostra bella terra ci offre». Dice così, a un certo punto.
FILIPPO: Bello avere una nonna poetica.
PAOLO: Per compensare un padre arido, immagino.
FILIPPO (ridendo) : Non sei un genitore. Sei un’autobotte di buonumore!
PAOLO (serio) : Vedi motivi di allegria, Filippo, mentre finisce l’anno dell’Isis e non sappiamo cosa ci riserva l’anno che verrà?
FILIPPO: L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va.
PAOLO: Mi rubi anche Lucio Dalla?
FILIPPO: Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando…
PAOLO (sorpreso) : La sai a memoria?!
FILIPPO: Sta nel Mavi, Manuale di Autodifesa del Ventenne Italiano. Conosci il tuo avversario! Anticipa le sue obiezioni e le sue citazioni!
ANNAMARIA (allegra) : Avanti, quale sarebbe la trasformazione che vorresti, Filippo?
FILIPPO (guardando il sentiero) : Tra le tante? La possibilità di cercare lavoro facilmente.
PAOLO: Cercare o trovare?
FILIPPO: Cercare, per cominciare. Nel 2016 mi laureo.
PAOLO: Forse.
FILIPPO: Mi laureo e non vorrei ritrovarmi come tanti amici. Costretti a mendicare un colloquio di lavoro, come fosse chissà quale privilegio.
PAOLO: Posso dirlo? Non sapete soffrire. Siete spesso brillanti, ma fragili. Ne ho visti passare tanti di ragazzi così, in studio.
ANNAMARIA: Perché devono soffrire? La mia generazione ha sofferto negli anni della guerra. La tua generazione, Paolo, ha sofferto negli anni del terrorismo. Perché dobbiamo augurare ai nostri nipoti e ai nostri figli di soffrire? Non capisco.
FILIPPO (alzando lo sguardo) : Forse è vero. Ma non siamo fragili. Siamo vulnerabili: è diverso. Perché qualcuno deve approfittarne?
PAOLO: Qualche esempio?
FILIPPO (guardandosi intorno) : Sicuri di voler turbare la pace dei boschi? Va be’. Ne approfitta, per esempio, chi ci offre uno stage e ci fa lavorare come schiavi, senza insegnarci niente. Pagando pochissimo, ovviamente.
PAOLO: Un altro esempio?
FILIPPO: Chi propone un contratto a progetto quando non c’è alcun progetto.
PAOLO: Poi?
FILIPPO: Chi offre collaborazioni per mascherare un rapporto di lavoro dipendente.
PAOLO: Altro?
FILIPPO: Chi offre solo lavoro alle partite Iva pur di non pagare i contributi.
PAOLO: Basta?
FILIPPO: Chi offre un contratto a termine, poi un altro un contratto a termine, poi ancora un contratto a termine. Tra uno e l’altro ti chiede di lasciar passare un mese, perché non sembri un lavoro dipendente. Non sia mai!
PAOLO: Finito?
FILIPPO: Chi ti paga in nero.
PAOLO: Ti piace il Jobs act? Tutele crescenti, eccetera.
FILIPPO: È un passo avanti. Se aspettavamo i sindacati, buonanotte. Lo sanno che esistono lavoratori sotto i 50? Qualcuno li ha informati?
PAOLO: Non è facile proteggere i precari.
FILIPPO: Non ci hanno neanche provato. E poi evitiamo la parola «precari», please. Almeno tra i boschi.
ANNAMARIA: Nome dell’anno.
PAOLO: Quale?
ANNAMARIA: Boschi. Papà e figlia.
PAOLO: Avanti, Filippo, descrivi il tuo datore di lavoro ideale. Identikit all’aria aperta.
FILIPPO (senza esitazioni) : Deve capirti. Deve insegnarti. Deve ascoltarti. Deve pagarti.
PAOLO: Un po’ egoista, non ti sembra?
FILIPPO: Neanche per sogno. Capirmi vuol dire: puntare sulle mie qualità e correggere i miei difetti. Insegnarmi: devo imparare quasi tutto, lo so, ma formare un ragazzo è un motivo d’orgoglio, no? E un investimento.
PAOLO: Ascoltarti e pagarti?
FILIPPO: Mettiamo che il mio futuro capo abbia la tua età, cinquant’anni o giù di lì. Mi passerà le sue conoscenze, e io gliene sarà grato. Ma io gli darò in cambio la mia energia e la mia fantasia. Un’alleanza. Funziona. Magari non subito. Ma funziona.
ANNAMARIA: Vero.
PAOLO: Tu come fai a saperlo?
ANNAMARIA (girandosi verso il figlio) : Ho settantanove anni, ma non sono rimbambita.
PAOLO: Non è mai troppo presto per rimbambire, se uno s’impegna. Guarda me.
ANNAMARIA: Ultimo punto: i soldi.
FILIPPO: Gira quest’idea che noi ragazzi dobbiamo lavorare gratis. E ringraziare pure.
ANNAMARIA: Un paio d’anni all’estero dopo la laurea?
PAOLO (caustico) : Bene: incoraggiamo la fuga.
ANNAMARIA: Scappare per tornare.
PAOLO: Sembra un titolo di Sanremo, mamma. La scuola italiana li ha preparati, a spese di tutti. Questi finiscono gli studi, prendono e bye-bye, vanno all’estero. Magari a Londra, dove non gli danno neppure la previdenza sociale. Siamo dei geni, in Italia.
ANNAMARIA: Ho letto che in Italia una donna su quattro lascia il lavoro dopo il parto. Ti sembra possibile?
PAOLO: Maschi o femmine, il merito è finito nella spazzatura. Sai quanti mentecatti ho visto passarmi davanti? Oggi prendono il doppio di me.
ANNAMARIA: Vedi, Paolo? Tuo figlio ha ragione. Se alla sua età avessi trovato un capo che investiva su di te, invece del celebre architetto fanfarone…
PAOLO (dopo una pausa) : Sì, hai ragione, è anche colpa mia. Mi ero fissato con l’assunzione. Le conseguenze sono queste.
ANNAMARIA: Un posto fisso può rivelarsi una fregatura.
FILIPPO (sorridendo) : Oddio, a me non dispiacerebbe…
PAOLO: Filippo, attenzione a ciò che desideri.
FILIPPO (sorpreso) : Fammi capire: mi stai dicendo che non devo accontentarmi? Che devo cercare un lavoro che mi piace e cercare di essere felice? Papà, stai bene?
ANNAMARIA: Sarà l’aria di montagna. Carenza di ossigeno, quelle cose lì.
FILIPPO: Nonna, siamo a mille metri.
ANNAMARIA: All’età di tuo padre, ogni scusa è buona per dire cose strane. O farne.
PAOLO: Non mi sembra d’aver detto niente di speciale, mamma. Voglio che mio figlio sia contento. Che si alzi al mattino, nei prossimi cinquant’anni, e sia orgoglioso di quello che fa.
È così strano?
ANNAMARIA: Non è strano, ma sentirtelo dire è sorprendente.
La luce scende tra le montagne. Il sentiero incontra le prime case. Anonimi esagitati si allenano sparando botti di Capodanno dai terrazzi. Il giorno prima, sembrano ancora più assurdi. Il rumore spacca il silenzio delle montagne, interrompe la conversazione familiare. Forse è meglio così. Quello che c’era da dire stasera è stato detto.
ANNAMARIA: «Le passeggiate mi ispirano mille pensieri fruttuosi, mentre rinchiusa in casa avvizzirei e inaridirei miseramente».
FILIPPO: Bella, è tua?
ANNAMARIA: Sempre Robert Walser.
PAOLO: Me lo presti quel libro? Leggo poco, tra le altre cose.

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